UN RICORDO DI RAIMONDO VIANELLO (a cura di Giuseppe Cozzolino)

 Per me ragazzo Totò è stato un idolo. Più tardi ho debuttato in cinema con lui ne "I due orfanelli": facevo un ufficiale a Villa Borghese, forse una sola posa. Due o tre pose le ho fatte in "Fifa e arena" e "Totò sceicco". In "Totò Diabolicus" ero addirittura il marito di Totò, il quale, vestito da donna, aveva caldo e si faceva aria agitando la gonna. Sapeva che non ero figlio d'arte, ero diventato attore per combinazione ed ero di estrazione nobiliare da parte di madre: e questo lo entusiasmava molto. Mi prendeva da parte e mi diceva: «Facciamo una compagnia solo di nobili», e cominciavamo subito a fare elenchi con Giangaleazzo Benti, e cioè il conte Bentivoglio-Pallavicini e altri. 

Gli sarebbe piaciuto farlo davvero, vedeva già l'intestazione: «Il Principe Antonio De Curtis presenta.. .»
Quando facevo queste mie comparsate, mi prendeva sottobraccio, chiacchieravamo molto amabilmente. «Io posso dare titoli nobiliari, sono principe di Bisanzio, discendente di Costantino, se trovo un qualcosa di Massenzio sono a posto». E il giorno dopo mi parlò di Sassorubra, c'entrava in qualche modo anche lì. Dovevamo fare una scena in cui lui si spacciava per medico del duce, io ero un ministro. Io dico: «Anzi», e lui dice «O Nettuno».
Mattòli fermò la scena, non ne voleva sapere. Totò mi prese da parte e mi disse: «Sono diventato famoso con queste battute. Io lo chiamo avvocato e lui mi chiama Totò e mi dà del tu». Mattòli allora lo prendeva sottobraccio e lo stringeva un po'. E Totò diceva: «Mi ha stretto il braccio, mi ha fatto male».


Da Orio Caldiron,"Totò" (Gremese) su www.antoniodecurtis.com

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