TOTÒ E IL CINEMA COMICO COME PONTE FRA ORIENTE ED OCCIDENTE (di Giuseppe Cozzolino)
Sostenere che il Cinema sia in grado
di gettare ponti fra culture differenti, distanti fra loro interi continenti,
può risultare alquanto elementare. Cogliamo l’esempio del nostro Paese: dai
tempi di registi come Dino Risi e Mario Monicelli, la Commedia all’Italiana ha
rappresentato uno specchio straordinario delle trasformazioni/contraddizioni
della complessa realtà socio-culturale, dal Boom economico alla Depressione di
questi ultimi anni. Una forma di narrazione più efficace e diretta di tanti pur
autorevoli manuali di storia, adottati nelle nostre scuole ed università.
Se poi ci concentriamo su quel tipo
di commedia che gli americani hanno definito “slapstick”[1]
basata sul linguaggio del corpo e strutturato in Gag (Sketch) tanto semplici
quanto efficaci, allora evochiamo un linguaggio mimico universale per tipologie
di pubblico assai distanti fra loro (Oriente ed Occidente). Soprattutto un inno
quasi anarchico alla libertà ed alla vita che trascende le comuni leggi del
sociale e della stessa fisica.
Negli USA artisti leggendari sono
legati al concetto di Slapstick: Buster Keaton, Charlie Chaplin, Laurel and
Hardy. In Italia oltre Paolo Vilaggio ed il suo Fantozzi soltanto un celebre
attore, grande Maschera del Cinema Italiano – superiore in questo campo ad altri
“mostri della commedia” come Alberto Sordi - ha ben rappresentato il concetto e
la tradizione dello slapstick: il Principe Antonio De Curtis in arte Totò.
Nessuno come lui incarna quest’idea di Commedia frenetica e surreale in grado
di essere comprensibile in tutte le latitudini del Globo grazia alla mimica e
alla deformazione del corpo.
Proveniente dal Teatro di Rivista e
da una lunga quanto avventurosa gavetta, Totò seppe fondere come pochi la
comicità di parola e quella gestuale, mettendole in pratica in una serie
impressionante di pellicole dal 1948 al 1967, anno della sua morte.
Dal 1948 al 1955, in particolare, le
performance di Totò raggiunsero vette espressive superlative in scene contenute
in titoli come “Totò Le Mokò” (la famosa Danza Apache e la battaglia finale coi
banditi della Casbah), “Totò Sceicco” (La gag della Botte e della Tortura della
Sete), “Totò cerca Moglie” (la gag del Boomerang Dispettoso), “Totò a Colori”
(la superba Danza di Pinocchio) e tantissimi altri. Allora già cinquantenne, il
Principe della Risata era comunque in ottima forma e solo l’aggravarsi di una
terribile malattia agli occhi finì col limitarne parzialmente le qualità
ginnico-funamboliche.
Qualità capaci di essere però comprese ed apprezzate
anche da platee distanti migliaia di chilometri come quelle dell’Estremo
Oriente.
L’universalità della Commedia Gestuale
o Slapstick ha infatti insospettabili e numerosi esempi anche nel Cinema del Far East grazie a
“maschere” non meno popolari ed amate, a partire dallo spassosissimo attore
cinese Jackie Chan (noto in patria come Cheng Long), geniale ideatore di una “contaminatio”
fra Slapstick e Film sulle Arti Marziali, genere consacratosi nel mondo grazie
al boom delle pellicole interpretate da Bruce Lee.
Anche in questo caso, all’interno di
una produzione sterminata (ben oltre il centinaio di titoli, alcuni giunti
anche qui da noi come i celebri “Project A/Operazione Pirati” e “Il Mistero del
Conte Lobos”, senza contare celebri serie come “Rush Hour” e “Pallottole
Cinesi”), le performance comico-acrobatiche risultano l’arma vincente per
costruire non solo un grande consenso in patria, ma anche a conquistare le
platee occidentali (in particolare Hollywood). Esattamente come Totò, Jackie
Chan combatte con tutto il corpo, lo deforma, si appoggia ad oggetti curiosi e
di uso comune (scale, vasi, biciclette) per superare i suoi avversari, in barba
alle più comuni leggi di fisica e gravità. [2]
Dietro la facciata del disimpegno,
emerge un racconto della società e della cultura in cui è immerso il
protagonista, ed un inno alla libertà creativa dal vago sapore
anarchico-surreale. Analizzare, magari anche in un apposito Corso, questi due
aspetti della Commedia Slapstick – il lato sociologico e quello puramente
estetico – potrebbe costituire un percorso didattico divertente e quasi
illuminante, alla ricerca del filo rosso che lega la commedia italo-totoista a
quella di altre latitudini, fra Oriente ed Occidente.
[1]
Il termine si traduce letteralmente come “bastone che colpisce”, a sua volta
derivante dal “batacchio” usato nella Commedia dell’Arte con protagoniste
maschere di Arlecchino e Pulcinella.
[2]
Chan ha inoltre dichiarato di essersi ispirato ad un altro filone di commedie
tipicamente italiane, quelle del duo di scazzottatori Bud Spencer e Terence
Hill.
Commenti
Posta un commento