SCOMPARSA DI UN AMICO... (a cura di Domenico Livigni)


(Il nostro Collaboratore Domenico Livigni rievoca la reazione di Macario alla notizia della morte di Totò)

15 aprile 1967. In una provincia del Nord Italia d’un sabato mattina, la compagnia di Erminio Macario si preparava ad un debutto sotto il controllo e la sorveglianza del suo capocomico, sempre pronto a correggere un passo falso o sfacciato. Bastava capire un suo dissapore dall’increspamento della fronte, una fronte spaziosa e a volte liscia che poteva incutere timore e soggezione nei confronti dei suoi artisti e tecnici. Ma la sera, in scena, quella sagoma minuta e severa, lentamente si lasciava sbriciolare dai suoi dissensi e rancori umani, per poi pittarsi addosso un’immagine flessuosa, cristallina e sorniona.
Una coppia comica da rivalutare
Uno sguardo allo specchio, un po’ di cipria e di matita per gli occhi, per nascondere i tratti e i lineamenti austeri dell’uomo, e una spalmata di brillantina, veloce e mossa, per poi far scivolare come una goccia di sudore quel ciuffo che ritraeva il Gianduia della Rivista. Ma prima che tutto ciò avvenisse, bisognava far nascere le prime mosse, i primi passi giusti e scorrevoli dell’azione e della mimica, movimenti dettati da una serietà e da un dovere professionale e artistico, e legittimati da un regolamento interno di compagnia, che varava rigorosamente multe a coloro che ritardassero o si assentassero alle prove, che danneggiassero vestiari, scenari, attrezzi e materiali in genere, adatti all’uso dei “signori Scritturati” o addirittura a coloro che accedessero in teatro dagli ingressi riservati al pubblico. Questo suo sdoppiamento umano, regolato da un ticchettio di secondi del suo orologio e innescato da una camminata per i corridoi e i camerini, esplodeva ed evaporava su quei palchi impolverati e accecati da forti luci, dove tutto doveva essere disillusione della realtà, e la fantasia doveva marciare su una perfezione meticolosa, la stessa marcia calpestata che assumevano le bellissime soubrette, o meglio ancora, le “donnine” di Macario.  [...] Quindi, tutto lo staff si preparava, guidato dalla sua “primadonna”, allo spettacolo della sera, senza pensare al clamore o al successo che poteva auspicare solo il suo pubblico. Frattanto, dall’uscio di quella sala, si avvertirono dei passettini che andarono ad irrompere con acutezza e con una formalità premurosa su quello scenario in fase di allestimento, e poi una voce gracilina, per paura di sospendere qualcosa di importante della prova d’esordio, emise dolcemente: «Papà».
Mauro Macario, il secondogenito dell’attore, a quel tempo ventenne e allievo della Scuola del Piccolo Teatro di Milano, si avvicinò al padre interrompendo il suo lavoro, la notizia che doveva comunicargli era voluta da un’urgenza irrevocabile: «Papà, so che le ore delle prove generali sono solenni, però è successo qualcosa d’inaspettato…».
Ciò scatenò nel volto del padre un’espressione impacciata e quelle rughe che si erano mosse sulla fronte per quell’intromissione, si spianarono fulmineamente, e suoi occhi si impregnarono d’una forte paura per quello che poteva essere capitato.
«Alla radio hanno comunicato pochi minuti fa una notizia su Totò…».
E proprio in quel momento, immaginando una reazione di dolore del padre, lo abbracciò delicatamente e in un orecchio gli comunicò la triste notizia: «Purtroppo ci ha lasciati!».
Addio al Principe

In pochi secondi, le sue parole, sempre ligie al dovere, si celarono in uno stato di mutismo e, dopo aver dato le ultime indicazioni ai suoi collaboratori artistici e tecnici, preferì ritornare in albergo, che non era molto distante. Infatti, dopo cinque minuti di passi melanconici, ritirò le chiavi della sua camera dalla reception e salì di sopra. In quel brevissimo arco di tempo,  espresse quel suo dolore o rammarico, per non aver visto per l’ultima volta l’amico dipartito, con le parole del silenzio. Quel suo volto ovale e accarezzato da una sfoglia di candore umano fu un’istante capovolto e soggiogato da un senso di introversione, interrogandosi su quella scomparsa inaspettata.
Sdraiatosi su un divanetto della camera, iniziò a fissare il soffitto di quel piccolo salotto quasi borghese, come se su di esso avesse voluto delineare un canovaccio per trovare le parole adatte per commentare quell’episodio. Ma in questo caso non c’era un copione da leggere, un soggetto o una sceneggiatura, nelle quali i protagonisti, quasi “chapliniani”, risolvevano i loro enigmi con il surrealismo e la contentezza dei sentimenti e della vita.
Questa volta, il vero ostacolo da decifrare era il mistero, avvolto da una grande cappa di silenzio e di incertezze. Improvvisamente, come se avesse trovato il rimedio giusto, si alzò e dal taschino della giacca agguantò una sigaretta, una di quelle tante che aveva accesso attimi amicali e confidenziali con il suo caro amico, anch’egli grande fumatore. Un vizio che spingeva entrambi in riflessioni esistenziali. E proprio da quelle boccate si immerse in nuvole di fumo che lo fecero inebriare di ricordi e di nostalgie, calcate sulle stesse tavole da palcoscenico primordiali, umettate del fumo asfissiante, di luci e di sapori casarecci.
Grandissima stima fra i due artisti


Tratto da "Macario e Totò" di Domenico Livigni, pubblicato nel volume "Totò con i quattro" di Ciro Borrelli e Domenico Livigni (Apeiron Edizioni, SERIE ORO).

Commenti

Post popolari in questo blog

Le 10... MIGLIORI "SPALLE" DI TOTO' (a cura di Giuseppe Cozzolino)

I 10... "PEGGIORI" FILM (a cura di Giuseppe Cozzolino)

MEMORIE DI TOTO': Totò e il suo Autista (A cura di Domenico Livigni)