TOTÒ E PEPPINO TRA IL 1960 ED IL 1962 (a cura di Ciro Borrelli)

 

Stralcio estratto da Il ventennio d’oro del cinema italiano, Quattro lustri di illustri, di Ciro Borrelli, Domenico Pallattella e Gianmarco Cilento,Graus edizioni, Napoli 2021:

«Dopo aver girato Arrangiatevi e un episodio de La cambiale – dove interpreta, insieme a Peppino, uno dei cugini Posalaquaglia, avvocati scalcagnati che campano di piccoli imbrogli e false testimonianze – il Principe Antonio De Curtis è costretto, per motivi di salute, a un periodo di riposo forzato dal set. Deve quindi rinunciare alla proposta di entrare nel cast di Ferdinando I re di Napoli (una pellicola dalla stellare schiera di attori, ma con una sceneggiatura debole). Sfuma così l’occasione per Totò di lavorare insieme a tutti e tre i de Filippo; tra l’altro, questo film segna l’ultimo incontro sul set dei tre fratelli, oltre che con Taranto, Fabrizi, de Sica, Rascel e Mastroianni.

L’anno seguente, rimessosi in sesto, De Curtis torna a far coppia con Peppino de Filippo come ai “vecchi” tempi. escono, infatti, tre film divertentissimi diretti da tre diversi registi: Letto a tre piazze di Steno, Signori si nasce di Mario Mattoli e Chi si ferma è perduto di Sergio Corbucci. Nel primo lungometraggio Peppino è un pacifico e serafico insegnante, soddisfatto della propria quotidianità e della propria compagna, sposata in seconde nozze. Totò, invece, è il primo marito, che torna dalla guerra dopo molti anni e rivendica i diritti su colei che di fatto è diventata la donna di un altro. Il Principe è come sempre irriverente, anarchico e dispotico verso il suo rivale in amore, ma a differenza delle pellicole precedenti, de Filippo è meno arrendevole. Attende Totò sulla difensiva, ma contrattacca di fioretto, almeno in una dimensione onirica: sogna di far precipitare Totò in un burrone anche se, alla fine, sarà lui, come sempre, a soccombere. nel volume di Marco Giusti, dedicato a Peppino de Filippo, viene riportato un aneddoto raccontato dal regista Steno: “Facevamo la presa diretta con dei rulli in macchina di trecento metri e abbiamo avuto la sensazione che Totò sarebbe andato avanti. Peppino si doveva addormentare e lui doveva guardarlo, poi stop. Ma lui continuava a guardarlo e, non sentendo lo stop, Peppino ha riaperto gli occhi, Totò ha improvvisato: ‘Ma sa che più la guardo e più mi piace?’. e da lì è nato tutto un altro pezzo, completamente improvvisato. Totò ha fatto cose terribili e divertentissime, coadiuvato mirabilmente da Peppino”.

In Signori si nasce Totò inventa il ruolo del barone Zazà, un nobile squattrinato, con la erre moscia, che ha dilapidato il suo patrimonio. Peppino, invece, per l’occasione Pio degli Ulivi, fratello di Totò nel film, è il suo opposto: Pio di nome e di fatto, di professione sarto, specializzato in abiti talari, tirchio e bigotto, sposato con una donna devota e remissiva. esilaranti i duetti e gli scontri tra i due assi. Una curiosità: nei panni della moglie di Pio troviamo Lidia Maresca, in arte Martora, compagna di vita del de Filippo che convolerà a nozze con Peppino solo nell’aprile del 1971, ovvero in punto di morte. Tra gli interpreti anche Carlo Croccolo che torna a lavorare al fianco di Totò nello stesso ruolo, quello del maggiordomo, che ha già ricoperto in 47 morto che parla e Totò lascia o raddoppia?

Anche se spassoso, Chi si ferma è perduto presenta, rispetto ai primi due, una sceneggiatura più modesta. Sempre in coppia col De Filippo, l’anno seguente il de Curtis gira Totò, Peppino e la dolce vita, ancora con Corbucci alla regia. In questa pellicola, palesemente una parodia del capolavoro felliniano, i due attori partenopei stravolgono il soggetto iniziale. nella prima versione, profondamente diversa dal film che tutti conosciamo, i protagonisti sono due provinciali che si recano insieme a Roma e ne restano ammaliati. Totò e Peppino, convinti che quest’idea sia da scartare, intervengono radicalmente sul soggetto, puntando sulla differenziazione e sulla contrapposizione tra i personaggi principali. In fondo, non è proprio questa l’arma vincente del sodalizio tra i due?

Nel volume Totò. L’uomo e la maschera, Franca Faldini e Goffredo Fofi riportano una curiosa testimonianza di Sergio Corbucci: “Io ho diretto sei film di Totò, di cui tre con Peppino. Questi era un compagno all’altezza di Totò. Una delle caratteristiche di questi film era la difficoltà della prova. durante la prova, la scena diventava penosa, e per il regista tristissima. […] Mi guardavano sornioni, come due gattoni e provavano tutto meccanicamente. Tanto che dovetti rivolgermi al Principe (Totò pretendeva che lo si chiamasse in questo modo) per ottenere un po’ di slancio… Ma ero disperato. Poi, quando girammo sul serio, ricordo che si trattò di una scena spaventosa, perché vedevo l’operatore sussultare dalle risa dietro la macchina, vedevo gli elettricisti, gli operai e i macchinisti sghignazzare sui ponti. era comicità allo stato puro, la comicità del teatro dell’arte, irripetibile. Insomma bisogna sfatare il mito che Totò improvvisa, ma è anche vero che spesso per lui la sceneggiatura è come un filo d’acciaio teso tra due punti, l’inizio e la fine del film, ma il resto subiva mille cambiamenti e stravolgimenti».



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