Tutto Totò. Retroscena della serie TV raccontati da Luisella Boni e Gloria Paul (a cura di Gianmarco Cilento)
Lo scrittore e saggista Gianmarco Cilento ci regala un gradevolissimo amarcord della celebre serie tv interpretata dal principe e da tanti straordinari interpreti chiamati ad affiancarlo nei vari sketch.
Tra gli ultimi lavori della carriera del Principe De Curtis, la serie televisiva Tutto Totò, girata a cavallo tra il 1966 e il 1967 (e andata in onda postuma tra maggio e luglio 1967) è indubbiamente una delle sue parentesi artistiche ancora piena di lati misteriosi e da riscoprire. Non certo tra le migliori espressioni della sua filmografia, racchiude comunque ottime perle comiche tuttora apprezzabili. Gli episodi originariamente previsti erano dieci, ma uno di essi, Totò a Natale, non è mai stato trasmesso e ancora oggi è del tutto inedito al pubblico. Probabilmente è andato distrutto, in quanto soppresso dalla serie quando essa non era stata ancora ultimata.
Nel ciclo, interamente diretto da Daniele D’Anza per la produzione di Sandro Bolchi e Mario Lanfranchi, il Principe De Curtis intendeva riutilizzare il suo repertorio teatrale di vent’anni prima, quello delle riviste degli anni Quaranta, scritte da Michele Galdieri, che avevano di poco preceduto il suo grande successo cinematografico. Le intenzioni, tuttavia, erano decisamente superiori ai risultati; proprio Galdieri avrebbe dovuto dirigere la serie, ma non fece in tempo, venendo a mancare improvvisamente il 30 novembre 1965. Al suo posto subentrerà quindi D’Anza. Tuttavia, vista la natura televisiva dell’operazione, lo spirito produttivo sarà decisamente inferiore rispetto alla bella riscossa artistica che in quello stesso periodo Totò si stava prendendo con Uccellacci e uccellini, diretto da Pier Paolo Pasolini. Ancora oggi la serie, per quanto girata con una certa attenzione, non brilla di qualità anche agli occhi dello spettatore meno preparato.
Di tutti gli episodi, i migliori, perché tra i primi ad essere stati girati, forse restanoIl grande maestro e Don Giovannino, probabilmente perché privi di quelle forzature degli altri episodi, come i camei d’onore spesso incastrati alla meno peggio all’interno di un canovaccio narrativo non particolarmente brillante. A peggiorare il risultato finale sono stati comunque i rifacimenti e le censure che la Rai sembra abbia imposto una volta visionati i primi montaggi. Non sono sopravvissuti, allo stato attuale, i montaggi originali privi di censura, e quindi ci risulta impossibile giudicare se nella versione originale i singoli episodi fossero davvero più divertenti e genuini. E le testimonianze dei pochi componenti del cast artistico e tecnico a oggi rimasti in vita non aiutano molto su questa cosa. Tra i membri della troupe vi era, in qualità di operatore alla macchina,un giovanissimo Vittorio Storaro, futuro direttore della fotografia premio Oscar, che oggi, purtroppo, ricorda ben poco di quell’impresa lavorativa, essendo all’epoca molto più concentrato sull’apprendimento tecnico del mestiere che sull’osservazione e lo studio dei singoli artisti con cui aveva a che fare. Al contrario, un’ottima testimonianza di quei giorni ci giunge oggi da Luisella Boni, attrice in due dei nove episodi, nonché moglie del regista D’Anza.
“Totò accetto di girare questa
serie anche perché aveva molta stima di Daniele” ricorda oggi la Boni, “io lo
avevo già conosciuto nel 1962, avevo svolto la famosa intervista di Cinema
d’oggi sul set de I due colonnelli, quando ‘traduco’ il suo dialogo con
Walter Pidgeon. Non fu molto facile per lui girare quella serie, stava male
perché era quasi cieco, anche se allo stesso tempo non fu così difficile girare
perché le scene erano abbastanza tranquille e mirate, tutte risolte in interni;
quindi, non si notava così tanto questa sua defaillance. Lui ovviamente
era gentilissimo, cercava di nascondere questa sua grave infermità alla vista,
non gli faceva piacere farla vedere. Aveva sempre Mario Castellani al suo
fianco, che lo ‘guidava’ attentamente, essendo il suo storico partner
artistico. Fu proprio lui a chiedere a Daniele di interpretare il ruolo della
moglie del datore di lavoro ne La scommessa, inizialmente non ero
prevista. Mi sono divertita, anche perché era un ruolo molto bello. Si girava
con un copione ben stabilito, le battute scritte e recitate in maniera fedele,
non c’era moltissima improvvisazione. Certo, qualche volta aggiungeva o
cambiava delle cose, e ovviamente mi scappava da ridere. Ma siamo andati avanti
benissimo e non ripetevamo molte volte la scena. Al nostro fianco poi avevamo
Mario Pisu, bravissimo e dotato attore”.
La Boni appare anche in Totò a
Napoli. “Poi ho girato anche quell’episodio, in cui facevo da “conduttrice”
negli intermezzi tra un numero musicale e l’altro e interpretavo lo sketch
finale.Ma non solo; mentre giravamo a Roma era spesso giù di morale; invece,a
Napoli era felicissimo e solare, perché era nella sua città, e ci invitava
tutte le sere al Circolo della Vela dove era socio onorario. Ma anche a Roma
avevamo ovviamente un buon rapporto, spesso ci invitava a casa sua, ai Monti
Parioli. Non ricordo affatto di censure o rifacimenti per gli episodi della
serie, e non sono neanche tanto d’accordo che Totò se non fosse morto
improvvisamente avrebbe potuto continuare ancora a lavorare chissà quanto; la
sua cecità era grave, non so ancora per quanto tempo avrebbe resistito in
quelle condizioni. L’unica cosa che mi dispiace è che, per due episodi, in cui
Totò non fece in tempo a doppiare gli esterni perché scomparso, abbiano
mantenuto le scene con quell’orrendo doppiaggio svolto da quell’imitatore che
chissà chi era; voi dite che era Noschese ma non credo proprio. E mi dispiace
ancora di più che Daniele abbia potuto far passare una cosa così brutta”.
Un’altra testimonianza abbastanza
lucida, sempre raccolta dal sottoscritto, viene da Gloria Paul, coprotagonista
dell’episodio Don Giovannino. “Con Totò recitai la prima volta in Totò,
Peppino e la dolce vita, ben cinque anni prima. Ma mentre lì c’era molta
improvvisazione (la sceneggiatura era soltanto una scaletta sulla quale il
Principe e De Filippo potevano dire tutto quello che volevano), nell’episodio
di D’Anza le battute erano molto più studiate e attente. Rispetto a Corbucci,
il regista dell’altro film, Daniele era un regista molto più rigoroso.
Ripetemmo la scena pochissime volte, forse un paio di ciak, non di più. Anche
io, come tutti gli altri, ovviamente non potevo non notare le difficoltà alla
vista che affliggevano Totò. Quando ti fissava aveva gli occhi immobili, nel
vuoto, come se non fossero vivi. E nelle scene in cui doveva compiere movimenti
più azzardati, come in quella del pazzo furioso, faceva molto sforzo
nell’esibire tutta quella fisicità richiesta dallo spirito comico della gag.
Quando dovevamo doppiare, andava avanti con le indicazioni dell’assistente al
doppiaggio che gli stringeva la spalla come a dire ‘vai, tocca a te’.
Ovviamente era aiutato anche dalla colonna guida che ascoltava nelle cuffie.
Non mi risulta di aver effettuato dei rifacimenti dell’episodio, per quanto lei
mi dica che alcune cose siano state rifatte per censura, ma non mi pare proprio”.
Che la Boni e la Paul non ricordino bene di rifacimenti o censure che, stando alle parole di alcuni articoli d’epoca, sarebbero stati consistenti, ci lascia riflettere; sono state fatte alcune esagerazioni nella ricostruzione di queste vicissitudini? I rifacimenti ci sono stati senz’altro, ma probabilmente in misura minore rispetto a quanto li racconta Roberto Gervaso, in un articolo de La domenica del Corriere del 18 dicembre 1966. “Gli sketch hanno perduto il 50% della loro comicità. Confezionati con tutte le spezie, gli aromi e le salse per far ridere gli spettatori, minacciano ora di farli sbadigliare […] Nei giorni scorsi Totò e il regista Daniele D’Anza si sono incontrati, anzi scontrati, con i dirigenti della televisione per indurli a limitare le amputazioni e a ridiscutere i testi. Ma, almeno fino a questo momento, senza risultati, mentre continua l’opera di “bonifica” dei censori”.
Le ricerche continueranno; solo così potremmo avere la speranza di rivedere, a distanza di oltre cinquant’anni, questo dimenticato e occulto Sacro Graal del comico napoletano.
Commenti
Posta un commento